domenica 8 luglio 2007

Caro diario, a stento riesco a reggermi in piedi. Il caldo è soffocante, l’aria mi manca e puzzo. Non resisto in queste condizioni. Non ce la faccio proprio. Sono trascorsi solo pochi mesi da quando Will è partito, ma a me anche un secondo pare infinito. Il cuore è al sicuro. Almeno lui, nei momenti di insopportabile melanconia, mi consola. Con il suo battere tranquillo e vigoroso.
Chissà cosa combina, quello schizzato di Jack! Spesso me lo domando. Forse, è di nuovo alla ricerca di qualcosa. Di un avventura. Di un po’ di pericolo. Roba da pirati, insomma.
Da pirati…

come mi suona strana questa parola. Pirati…ha un sapore lontano, passato. Eppure sento che ne è rimasto un po’ sulle mie labbra asciutte e assetate. Che mi aiuta a ricordare. Oh Elizabeth, tu vorresti ritornare al ieri. E rallegrarti assieme ad amici e compagni. Si. Tu vorresti. Ma la realtà è un’altra. Più deprimente. Più dura. Non si può.
Un giorno diverso sorge, caro diario.
Io vado. Vado a rimanere ancora sola.
Elizabeth

giovedì 31 maggio 2007

VI


- Ohi!
Jack balzò in piedi. Si morse il labbro inferiore per attutire il dolore. Qualcosa lo aveva afferrato per la parte posteriore dei pantaloni sgualciti e lo aveva addentato. Un pizzico minuto ma deciso. Come la sensazione che ne era scaturita dopo. Di bruciore. Lieve ma marcato. Girò la testa per osservare la vittima di tale efferato attacco. Il suo fondoschiena. Le braccia che roteavano nell’aria. Impazzite. – Dannazione! – imprecò secco. Non si vedeva sangue. Ne brutti tagli. Solo un minuscolo granchio penzolante aggrappato al lembo dei suoi pantaloni. Sembrava che lo stesse salutando con fare burlesco. Ho beccato un pirata, stavolta, pareva dire. Jack lo guardò con malanimo. Sbuffò.
- Stupide creature! Su avanti, tornatene a casa. – lo invitò calmo. Il granchio sbatté le palpebre. Gli occhietti neri si imperlarono. Jack si sentì in dovere di aggiungere un pizzico di vivacità alla voce.
- Ho detto sho! – imperò. – Sho! Via!
L’animale mollò la presa, sconfitto, e saltò in acqua.
– Bravo granchietto! – si complimentò Jack. Portò una mano sul sedere e se lo massaggiò. Faceva male, però. Il sole era appena sorto. Sul mondo nasceva un nuovo giorno. Il mare era una culla di quiete. L’acqua limpida e accesa specchiava il fondale sabbioso con invidia. Non amava dover mostrare qualcosa di maggiore bellezza. Jack si rese conto di essersi addormentato per molto tempo. La mappa, per fortuna, giaceva ancora dove l’aveva lasciata. Anche la bottiglia di rum e la buss….
…la bussola….
- La mia bussola?! – ululò come una femminuccia. – La mia bussola, la mia bussola! Dove è l-a m-i-a b-u-s-s-o-l-a?!
Disperato, si mise alla ricerca. I capelli aggrovigliati e crespi urtavano con i mille pendagli che decoravano il capo del pirata. Provocando fastidiosi tintinnii. Jack storse la bocca in un’espressione di disgusto e paura. Senza quel aggeggio, in apparenza rotto e inutile, Jack vagabondava perduto. Poi, un lampo. Nella mente stretta del pirata. Jack si bloccò. Immobile. Iniziò a pensare. Una infinità di idee gli vorticò nel cervello. Ed infine, arrivò quella giusta.
- Il granchietto! – mormorò incredulo.
Appoggiò le mani sul bordo della chiatta e guardò oltre la trasparenza cristallina del mare. Guardò giù. Giù negli abissi. Ma dell’animale, nessuna traccia.
- Su, su, granchietto esci fuori. Vieni da paparino. – lo chiamò con tono dolce e un po’ vibrante di collera. A Jack non piaceva doversi innervosire. Sentirsi arrovellare le viscere. Era un emozione che non conosceva e che mai avrebbe voluto conoscere. Ad eccezione di quella volta, però.
Ad eccezione di quando aveva in mano quel cuore palpitante. Vivo. E fissava impotente Will in preda agli spasmi di dolore e di…morte. Jack non avrebbe scordato quelle immagini. Per niente al mondo. Perché forse, nei suoi mille anni da pirata, in quella sola volta fu un grande e coraggioso pirata.
- Mannaggia, mannaggia. – cantilenò irritato. – Rivoglio la mia bussola, comprendi? Possiamo trovare un accordo se vuoi!
E dal profondo degli abissi, qualcuno aveva appena scorto una rotta da seguire.

mercoledì 30 maggio 2007

V


L’uomo vestito in nero attese. Attese che arrivasse. Impaziente. Trepidante. Soffiava concentrici anelli di fumo gelido dalle labbra intirizzite per il freddo e la pioggia. Un diluvio incessante. E accusatore. Nella mano, un piccolo sacchetto di tela. Stretto in pugno come nella morsa di un temibile ragno. Generava piccoli ma intensi fiotti di luce verde. L’uomo digrignò i denti. Imprecò sottovoce. La pelle raggrinzita del volto si arricciò. L’ennesimo fulmine fendé la volta celeste. Brutalmente. Il cielo pianse una stella, che impavida e coraggiosa, era uscita ad affrontare la potenza della tempesta. Si spense. Poi, un’ombra. Lontana. Giungeva con andatura malferma e si appoggiava ad un bastone consunto. Anch’egli era coperto da una mantella scura. L’uomo sogghignò. E rafforzò la presa del sacchetto. L’ombra avanzò decisa. Aveva il respiro corto. L’uomo lo percepiva anche a quella distanza. L’ombra si fermò di colpo……
………la pioggia……
un lampo…
e la luce.
- Finalmente, Philippe. – ruppe il silenzio l’uomo. Gli occhi aperti. Feriti dall’acqua.
L’ombra restò lì. Ansimante.
Il campanile emise un rintocco. Forte.
- Hai portato quello che ti avevo chiesto, Philippe?
L’ombra deformò qualcosa del suo aspetto malconcio. Il volto. Il sorriso. Sogghignò beffardo.
- E tu, Tropez? – domandò.
L’uomo fece saltare nel palmo della mano il sacchetto. – Io mantengo fede alle promesse.
L’ombra sputò. – Pirata! – sbraitò sottovoce.
L’uomo stava per perdere la calma che gli rimaneva. Bramava troppo. – Consegnamela, Philippe.
- Prima tu, Tropez. – gridò l’ombra.
L’uomo stirò il braccio all’indietro. Caricò. E abilmente, lanciò il sacchetto. L’ombra si leccò il labbro superiore. Rise acuto. Mise la mani a coppa e…afferrò pronto l’oggetto. Un lampo inondò l’ambiente di una luce accecante. Un tuono rombò. L’uomo ululò stufo.
- Avanti, Philippe. Ora tu !
L’ombra sfilò qualcosa da una tasca interna alla mantella. Sembrava anch’esso un sacchetto. Di forze minori rispetto all’uomo, Philippe effettuò un tiro più debole. Ma che, arrivò ugualmente al destinatario. Tropez ridacchiò. Sinistro. – Grazie, vecchio.
Entrambi sciolsero il laccio che chiudeva i sacchetti. Avidi. Ne scoprirono il contenuto con una voracità fremente. Due getti di luci ne uscirono fuori. Uno smeraldino. L’altro argenteo. L’uomo guardò l’ombra con espressione crudele. – Alla salute, Philippe.
Osservò mentre quello si portava il contenuto del sacchetto alla bocca. Ed eccitato, lo fissò mentre lo trangugiava affamato. Lui, il suo lo teneva saldo nella mano. Voleva godersi lo spettacolo.
L’ombra lanciò un urlo strozzato.
Si serrò le mani in gola.
Gli occhi sbarrati.
Rossi.
Il bastone cadde...
Un filo di bava colò dai bordi delle labbra.
In ginocchio.
L’ombra si accasciò...
- P..p..pirata!
Le ultime parole. Come il sibilo di un serpente.
Poi, Philippe cadde. L’uomo guardò sdegnato il corpo della vittima. Lo maledisse. Si sollevò il cappuccio in testa. Richiuse il suo sacchetto. E si perse nelle ombre.

IV


Il tramonto era prossimo. Il lento appassire del sole tingeva di un rosso cupo la distesa marina. Jack remava. Inflessibile in volto. Un sopracciglio leggermente sollevato. La bocca semichiusa. Davanti ai suoi occhi vigili e marcatamente neri c'era lei. La mappa. Ogni tanto lo sguardo del astuto corsaro si soffermava a leggere in mezzo a quell'accozzaglia di simboli, figure, lettere. E vagava. In cerca della giusta via. Si curava di controllare che stesse navigando nella direzione più agevole. E così era. L'acqua, un tappetto salmone dalla sfumature sanguigne, lo attirava con la sua malia. Nessuna increspatura. Tranquillo. Deserto. Jack poteva veleggiare sereno e sicuro. La bussola, la sua fedele bussola, teneva fissa la lancetta sul vertice più alto. Jack sorrise. Furbo. Non temeva intralci. Sapeva quel che faceva. Ed era determinato a portarlo a compimento. Dopotutto, una sola era la cosa che desiderava. E una sola era la persona che poteva conquistarla. Lui. Rafforzò la presa dei remi. Impiegò più energie. Doveva essere svelto, se voleva arrivare in tempo. Isla Corta distava ancora abbastanza dalla sua posizione. Eppure, Jack sentiva già la molle terra sotto gli stivali acciaccati. E proseguiva risoluto.

- Non puoi essere tanto lontana, gioia. - mormorò a se stesso.

Un ultimo raggio di calda luce irradiò il mondo. Poi, il blu della notte. Poi, l'oro delle stelle.

martedì 29 maggio 2007

III


Una brezza leggera invase l’isola di sibilanti respiri. Onde serpentine si allungarono sulla battigia, pretendendo di arrivare dove gli era impossibile. La sabbia fulva e morbida era un letto di piacevoli carezze. Qualche scoglio appuntito sparso qua e là per completare quel meraviglioso dipinto dai colori tenui e delicati. Dal chiaroscuro accennato e allo stesso tempo così sorprendentemente vivo. Elizabeth si sedette a rimirarlo. La cassaforte al suo fianco. Con il suo lento e regolare pulsare. Scrutò il mare. Nella sua immensità superba. E le parve di vedere un volto. Due occhi intensi. Flessuosi capelli neri. Le parve di vedere lui. Ma era troppo presto perché fosse lui. Il tempo si mostrava ostile nei suoi confronti, pensava Elizabeth. Viaggiava piano. Pigro. La fanciulla si alzò. E in quell’istante, capì. Doveva fare qualcosa. Che la tenesse occupata. Che non la tormentasse. Così, mossa da nuovo coraggio, andò alla ricerca di quel qualcosa. Percorse gli angoli dell’isola in lungo e in largo, e alla fine, trovò. Raccolse un consunto e lacero diario, insabbiato da secoli. Era scarabocchiato in varie pagine. Una scrittura vacillante, ma molto fine. Antica. Dopo i primi dieci fogli il diario era vuoto. Decise perciò di iniziare a scrivere. Sfilò la penna che vi era accuratamente legata con un nastro nero, sperando che funzionasse, e gettò le prime parole. Lettere dai contorni decisi e riccioluti. Pensieri sentiti. Che scaturivano dal profondo. I suoi.

Caro diario, mi affido a te perché so…che impazzirei. Aiutami a sopportare. Aiutami ti prego…e fa che dieci anni possano sembrare uno e che uno ne possa valere dieci……

lunedì 28 maggio 2007

II

Jack ruotò il cerchio centrale della cartina. Voleva trovare un’altra combinazione. Più precisamente, quella che gli indicasse Isla Corta, un avanzo di terra dalle dimensioni anguste in cui era possibile ottenere fruttuose informazioni su qualsiasi cosa avesse il sapore del rischio e del proibito. Un covo di famelici briganti detentori di mille saperi, pronti a scambiare la propria merce con beni e ricchezze luccicanti. Durante gli anni di guerra fra corsari e marinai, una lunga battaglia combattuta per il titolo di “padroni dei mari”, questo luogo aveva visto e appreso molte cose, tanto da immagazzinare una vera e propria enciclopedia di conoscenza. Jack voleva sapere, adesso. E non vi era posto migliore di quello in cui soddisfare le proprie smanie. Ruotò ancora una volta il cerchio di mezzo. Figure e rappresentazioni di isole si mossero. Mutarono angoli e bordi. Contorni spigolosi e lisce curve si fusero ad altri vertici. Jack sbarrò gli occhi, estasiato. Uno degli innumerevoli pendagli che portava intrecciato nei capelli tintinnò.
- Eccoti. – esclamò in un sussurrio. – Ti ho…trovata.
Sorrise. Un sorriso leggermente inclinato verso il basso. Due piombature d’argento risplendettero sui denti giallastri. Le dita delle mani lisciarono la ruvida carta della mappa. Sinuose. E si fermarono nel punto tanto vagheggiato. Il sole, in quel preciso istante, inviò una freccia di luce. Accecante. L’aria parve arrestarsi. Non un alito. Il mare si appiattì. L’azzurro del cielo divenne più acceso. Per una frazione di tempo, Jack si trovò all’interno di un paesaggio surreale e inverosimile. Analogo a quello dipinto abilmente e con cuore su di una tela. Poi, tutto ritornò al suo abituale aspetto. Allo stesso modo magnificente. Jack sbuffò da sotto i baffi oleosi. Strizzò gli occhi. La sua parte impulsiva gli parlò all’orecchio.
Cosa aspetti Jack? Hai una rotta.
Quella ragionevole gli propose l’esatto contrario.
Naviga in acque tranquille Jack. Finché puoi. Non inseguire il pericolo se non è lui a venirti dietro.
E Jack la pensò a modo suo.
Sono un pirata. Il pericolo è un lusinghiero invito a cena.
- Isla Corta, sto arrivando…

Primo capitolo


Un’onda si infranse su di uno scoglio. Un fulmine squarciò il cielo. Generò un tonante strepito. Due nuvole si sfidarono, guardandosi a distanza. Torve. Rabbiose. Nell’aria, un istante di sinistro silenzio. Poi…
…il caos.
Uno subisso di acqua si scaraventò sulla terra, inondandola. In lontananza, il tintinnio di una campana. Mesto. Da un’antica e malmessa cattedrale, una figura avvolta nel mistero fuggiva. Il suono dei suoi stivali che affondavano nelle pozzanghere fangose era distinto. Ma, nessuno notava la sua presenza. Le strade erano deserte. E lui correva. Correva. Correva via. Un altro folgore rombò. Acuto. Penetrante. Furioso. In quella tempesta di forza inaudita, c’era l’ira del mondo. Le sue urla. La sua bile. Per essere stato derubato del tesoro più prezioso. L’oggetto dei desideri di ogni uomo. Il premio più ambito. La figura misteriosa attraversò un vicolo stretto. La sua struttura mingherlina glielo consentiva. Rosso in volto per lo sforzo, impiegò le sue estreme risorse. E lo raggiunse. Lo stesso posto indicato nella mappa. Quello vero e solo. Alzò gli occhi alla volta sconfinata. La pioggia sferzante gli ferì il volto. Uno schiaffo per l’empietà commessa. L’uomo rise. Un ghigno beffardo. Tenebroso. Con una mano, lentamente, si abbassò il cappuccio. Un lampo balenò, inasprito dalla vista di quei lineamenti. L’uomo avanzò cauto. Il rumore del tacco degli stivali echeggiò nell’aria. Buio intorno. Il momento era vicino. Molto presto…
…lui…
…sarebbe stato…l’ultimo dei pirati.